mercoledì 8 giugno 2016


LA FAVORITA DI GAETANO DONIZETTI







Personaggi:

LEONORA DI GUSMAN (mezzosoprano)
INES, confidente di Leonora (soprano)
FERNANDO (tenore)
ALFONSO IX, re di Castiglia (baritono)
BALDASSARRE, superiore del convento di S. Giacomo (basso)
DON GASPARO, ufficiale del re (tenore)

                                                                              

Signori e dame della corte, paggi, guardie, montanari, soldati, cortigiani, frati di S. Giacomo e pellegrini.
L'azione è nel regno di Castiglia. Epoca 1340.






La Favorita è una grand opéra, dramma serio in quattro Atti musicato da Gaetano Donizetti nel settembre del 1840 su libretto di Alphonse Royer e Gustave Va'z, tratto da Eugè ne Scribe. La rielaborazione dell'opera L'ange de Nisida, con parti della Adelaide (opera semiseria del 1834) musicate nel 1839 su libretto degli stessi autori. L'Ange de Nisida non andò mai in scena perché il Teatro parigino de la Renaissance, che l'aveva commissionata, era fallito lo stesso anno. Il libretto è stato tradotto dal francese da F. Jannetti. La favorita venne rappresentata per la prima volta a Parigi, al Théatre de l'Opéra, il 2 divembre 1840.



LA PARTITURA MANOSCRITTA

La partitura manoscritta autografa di 156 cartelle è nella Biblioteca Treccani degli Alfieri di Milano.
                                                                              



                                                                         
                    



ATTO I:  L'azione si svolge nel regno di Castiglia intorno al 1340. La sinfonia si apre con una breve introduzione per soli archi, che entrano a voci indipendenti, dai bassi ai violini, imitandosi in contrappunto; l'effetto austero e meditativo preannuncia il preludio dell'Aida. Il tema misterioso è poi svolto ed amplificato dall'orchestra piena: fin qui, atmosfera religiosa e severa. Il primo tema, nervoso ed agitato, ha una funzione narrativa simile, all'interno della sinfonia, a quello che sarà il primo tema nella sinfonia della Forza del destino; è ripreso in fugato 246 con vari impasti strumentali e si oppone ad un secondo tema, una grande frase ascendente e discendente, cantabile, amplificata a piena orchestra nel finale del brano. Nel convento di San Giacomo di Compostela, i religiosi attraversano la scena. Il loro coro è uno dei più semplici (una frase ascendente e poi discendente, un'apertura in crescendo seguita da un lento diminuendo, come in un unico respiro) ma nello stesso tempo dei più raffinati cori di introduzione donizettiani, denso di piccoli gesti strumentali in semplicissimo contrappunto al canto. Il padre superiore Balthazar sta per seguire i monaci ma scorge Fernand, il novizio destinato a succedergli, assorto nei suoi pensieri e gliene domanda la ragione. Fernand gli confessa di essere in preda ad un amore terreno, per una donna di cui non conosce il nome né la condizione ("Un ange, une femme inconnue"/"Una vergine, un angiol di Dio" nella versione italiana). Fernand intende abbandonare il convento, nonostante il suo padre spirituale gli ricordi le insidie della vita mondana. Sulla spiaggia dell'isola di Leon, Inez ed altre fanciulle attendono il battello che conduce Fernand dalla dama sconosciuta ("Rayons dorés, tiède zéphyre"/"Bei raggi lucenti"): all'atmosfera solenne e raccolta del quadro del convento, si contrappongono la leggerezza del canto femminile di Inez e del coro, ed un'orchestrazione aerea, vaporosa, in punta di piedi come nelle musiche di balletto. Fernand invano chiede a Léonor di rivelargli il nome ed il segreto che la circonda; la donna gli confessa di amarlo ma di non poter diventare sua sposa. Inez annuncia l'arrivo del re: Fernand deve partire immediatamente; per ricompensarlo del suo amore, Léonor gli consegna una lettera di raccomandazione, con la quale egli potrà fare una brillante carriera militare. Ingenuo ed idealista, Fernand crede che Léonor sia una dama di alto rango e che il re Alphonse XI, benché sposato, sia un pretendente alla sua mano. 


ATTO II Alphonse si aggira, innamorato e sognante, nei giardini d'Alcazar e commenta con Don Gaspar la vittoria sugli infedeli: nella battaglia si è distinto il giovane Fernand, che il sovrano vuole premiare. Nonostante sia in attesa di un messaggero del Papa, Alphonse intende prima ricevere la sua amante Léonor, con la quale ha da tempo una relazione avversata dalla corte e dalla curia (" Léonor, viens j'abandonne"/"Vien, Leonora, a' piedi tuoi"). Léonor si ribella al re, delusa e stanca della sua condizione di amante. Quando il re le promette di ripudiare la regina, senza ascoltare le proteste del Papa, Léonor lo mette in guardia dal compiere azioni sconsiderate. Durante una festa che Alphonse ha organizzato per Léonor, il re intercetta un biglietto che Fernand ha scritto alla donna, la quale confessa così il suo nuovo amore per un giovane, senza rivelarne il nome. Irrompe Balthazar, messo del Papa, a guastare la festa: minaccia l'anatema sul sovrano, reo di adulterio, maledice la donna dello scandalo, poi mostra una bolla papale contenente la scomunica per Alphonse. 

ATTO III Fernand dichiara al re il suo amore per Léonor; con freddo calcolo, Alphonse decide all'istante di far sposare i due, per vendicarsi del tradimento di Léonor e per rappacificarsi con la Chiesa. L'aria di Alphonse ("Pour tant d'amour ne soyez pas ingrate"/"A tanto amor, Leonora, il tuo risponda") è un esempio di come la musica ed il canto possano avere due significati, uno esplicito e letterale, l'altro nascosto e sottilmente ironico. Léonor rimane interdetta, ma risolve di confessare subito a Fernand il suo passato, rinunciando alla felicità: per questo manda Inez in cerca del giovane. Don Gaspar fa arrestare Inez, il re nomina Fernand marchese, gli conferisce un ordine cavalleresco ed il matrimonio viene celebrato. Fernand è felice, ma viene subito deriso dai cortigiani, che rifiutano di stringergli la mano. All'arrivo di Balthazar, il giovane capisce la verità: ha sposato ("La maitresse du roi"). Indignato contro Alphonse e Léonor, Fernand getta a terra l'insegna cavalleresca, spezza la spada ai piedi del re (in preda al rimorso) ed esce seguito da Balthazar. 249 Il declamato fiero e disperato di Fernand, nel tempo di mezzo inserito fra il tempo lento e la stretta del finale, ha la stessa funzione della maledizione di Edgardo nel finale II di Lucia di Lammermoor, e svela un altro aspetto del carattere del giovane, fino a quel momento sognante ed idealista tenore romantico; grazie al primo interprete, Gilbert Duprez, questo divenne uno dei momenti più celebri dell'opera.

ATTO IV Nel convento di San Giacomo, i monaci stanno scavando le loro tombe, e Balthazar esorta i pellegrini a pregare. Fernand è in procinto di prendere i voti, ma il suo pensiero è sempre rivolto alla "maitresse du roi". Léonor si avanza, sotto gli abiti di una novizio: spossata dal dolore, in fin di vita, intende chiedere perdono a Fernand, del quale ascolta la voce nella preghiera proveniente dalla cappella: si sta svolgendo la cerimonia di vestizione del giovane. Egli esce, riconosce Léonor ed è sconvolto. Léonor si dichiara innocente ed implora il perdono dell'amato, che, riconquistato dalla passione, le propone di fuggire insieme. Ma Léonor muore, benedicendo Fernand.




Antonino Pasculli, il virtuoso dell'oboe, scrisse delle variazioni sul tema della Favorita di Donizetti; si riportano qui i due video: uno per oboe e orchestra, l'altro per oboe e pianoforte.






                                                                         

domenica 5 giugno 2016

Opus 87: Trio in Do maggiore per due oboi e corno inglese op. 87, 1794



                                   




Il brano è composto da quattro tempi:


 (pubblicato a Vienna, Artaria, aprile 1806)



                                                                                 
I Allegro

II Adagio Cantabile

III Minuetto-Allegro molto Scherzo

IV Finale-Presto


La struttura del trio op.87 è quella più tipicamente propria del classicismo, in quattro movimenti secondo lo schema Allegro, Adagio, Minuetto, Allegro (riconducibile ad ogni sinfonia di Mozart) di cui il primo in forma sonata: questo denota già un primo contatto del giovane Beethoven con la scuola viennese,ed un suo tentativo di approcciare quel tipo di schematizzazione musicale che, come è noto, avrebbe tanto ripudiato negli anni più maturi della sua produzione. E' proprio il Mozart delle serenate e dei divertimenti a venire in mente con questo primo movimento, fra tutti il più lungo, denso e formalmente rigoroso. Alla sobria, ma dolce cantabilità dell'Adagio si contrappongono poi un terzo movimento frizzante e spiritoso con il tema affidato al corno inglese ed un finale dal retrogusto quasi haydniano, in forma sonatina (una sonata senza sviluppo) dove il primo tema è a sua volta un rondò . Ma nonostante i riferimenti formali alla vicina scuola viennese, lo stile ancora un po' immaturo, ma già carico di personalità di Beethoven emerge già nitidamente da questa composizione giovanile, mostrando l'intraprendenza di un compositore animato tanto dal desiderio di sperimentare quanto dalla curiosità di assimilare gli stili dei propri contemporanei, per farne poi un linguaggio proprio. 










Il Trio per due oboi e un corno inglese rappresenta una delle molteplici espressioni di Beethoven; le possibilità timbriche offerte dai legni e dagli ottoni attrassero molto Beethoven, tanto che nel 1792 compose il suo primo lavoro per soli fiati. Successivamente il compositore fu incuriosito da un singolare organico, formato da due oboi e un corno inglese, che si stava affermando in quegli anni. 


Il manoscritto originale è conservato nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino e porta il titolo: Terzetto da L. v. Beethoven, Oboe prima, seconda, Corno inglese. Vicende editoriali, indipendenti naturalmente da ogni ragione cronologica, hanno in seguito determinato lo spostamento al n. d’opera 87, che è rimasto il definitivo. Che la redazione per due violini e viola non sia di Beethoven risulta anche da un passo della lettera all’editore Peters di Lipsia il 5 giugno 1822, in cui il maestro, fra le varie opere di cui propone l’acquisto, nomina un grande Terzetto per due oboi e un corno inglese, che potrebbe anche essere trascritto per altri strumenti. 
Nel 1793 Johann Wendt compose una Serenata destinata ad essere eseguita durante il tradizionale concerto di beneficenza natalizio della Tonkunstler-Sozietät di Vienna; l’ascolto di questo brano ispirò Beethoven e nel 1794 vide la luce il Trio op. 87, che in quel particolare repertorio rappresentò uno dei lavori più estesi ed elaborati.  








Non tutti sono d’accordo sulla data del 1794. La ammettono i cataloghi del Nottebohm, del Prod’homme e del Kinsky-Halm, sulla base della più antica informazione proveniente da A. Fuchs, noto collezionista viennese di autografi. Sono invece per il 1797 il catalogo Thayer ed il Thayer-Riemann, a cui non sembra che il Trio, per la sua consistenza artistica, possa essere stato composto nei primissimi anni del soggiorno viennese del maestro. 


Il numero di opera assegnato a questa composizione, quindi, trae in inganno circa la sua collocazione storica, poiché pur se catalogato come op. 87 (praticamente contemporaneo alla sesta sinfonia) il Trio per due oboi e corno inglese risale in realtà al 1794 ed è una delle opere più giovanili della produzione beethoveniana, composta dall'autore appena ventiquattrenne. Il motivo di tale incongruenza risiede nel fatto che, all'inizio del XIX secolo, Beethoven venisse a trovarsi in una brutta crisi economica, che lo costrinse a pubblicare anche molti dei suoi lavori giovanili che non erano inizialmente stati giudicati 'all'altezza' del resto della produzione.






Fu in questo modo che l'immaturo Trio venne 'ripescato', riveduto e dato alla stampa solo nel 1806, figurando come Opus 86 quando invece era addirittura precedente all'Opus 1 n 3, ovvero i tre “Piano trios” per pianoforte, violino e violoncello. 



  







Ricapitolando, nel periodo in cui il trio è stato scritto, Beethoven era appena arrivato a Vienna per studiare composizione con Joseph Haydn,e muoveva i suoi primi passi in direzione del modello dei grandi maestri viennesi, pur rimanendo legato quasi più allo stile galante di Johann Christian e Carl Philipp Emanuel Bach e a quello della scuola di Mannheim (Stamitz e Toeschi) che al classicismo. L'autore aveva già in passato composto diversi pezzi cameristici per strumenti a fiato su commissione di Maximilian Franz d'Asburgo, principe alla corte di Bonn dove Beethoven lavorava negli ultimi suoi anni tedeschi, poiché il sovrano disponeva di un ensemble di fiati che si occupava dell'intrattenimento musicale cortigiano. Ma in questo nuovo contesto viennese, la necessità di comporre per una simile strumentazione derivava piuttosto dal fatto che in questa città crescesse a dismisura il fenomeno degli amatori, musicisti non professionisti che svolgevano abitualmente tutt'altre mansioni e si dedicavano alla musica per semplice diletto. Con l'intento di soddisfare la crescente richiesta da parte di questo genere di esecutori, Beethoven compose il Trio per due oboi e corno inglese come un pezzo piuttosto semplice, ritmicamente 'quadrato' e dai temi orecchiabili e lo trascrisse quasi immediatamente per svariate altre strumentazioni come due violini e basso, due flauti e viola, due clarinetti e fagotto, ed alcune versioni per pianoforte, così che il maggior numero possibile di amatori potesse trarne profitto. Compose, due anni dopo, anche le Variazioni sul tema 'Là ci darem la mano' dal Don Giovanni di Mozart, per la medesima strumentazione di due oboi e corno inglese: 








scrivere per fiati era per Beethoven anche una specie di 'allenamento', poiché in preparazione alla stesura della sua prima sinfonia egli era alla ricerca di una scrittura peculiare adatta ad ogni diversa sezione dell'orchestra. 

sabato 4 giugno 2016


MOZART: CONCERTO IN C MAJOR, K 314 PER OBOE


 
                                                 




IL PEZZO SI DIVIDE IN TRE MOVIMENTI:

I: Allegro aperto
II: Adagio ma non troppo
III: Rondò                                                         



ORGANICO:


I: oboe solista

II: I-II oboe

III: I-II corno

IV: archi

L’atmosfera è subito cantabile, gioiosa, fresca. Attacca l’orchestra, irrompono i corni da caccia, rispondono gli archi in pianissimo, entra nel vivo il 'gioco' delle varie sezioni che si rincorrono sulla linea melodica iniziale, tra accelerazioni, pause dinamiche e scarti improvvisi. Un materiale sonoro miracolosamente costruito per preparare l’ingresso del protagonista, il flauto. Dalle prime battute dell’Allegro maestoso, la musica si dimostra capace di toccare l’anima, di sfiorare le corde delle emozioni più profonde, passando per l’Adagio centrale, per arrivare al Rondò finale, dove la spensieratezza del discorso musicale è sempre più presente dove gli arabeschi oboistici assumono un ruolo  rigenerante.


In poche battute, l’attacco di questo Concerto K 314 ci porta al cuore dell’invenzione mozartiana più libera, disincantata, priva di legami formali con le convenzioni del tempo.






                                                             



Questo concerto che presentiamo rivela l’orecchio esercitato di Mozart nel cesellare lo strumento e la sua abilità nell’estrarne le più sottili potenzialità tecniche. 



Il primo movimento del K 314, Allegro maestoso, si apre in modo decisamente spensierato: il Mozart più musical-terapeutico è proprio questo, lontano dalle introspezioni del Don Giovanni o di certi Quartetti per archi. Un accordo a piena orchestra è seguito da quattro note ribattute in ritmo puntato, «quello utilizzato un secolo prima da Jean Baptiste Lully alle corte del Re Sole per le pompose ouverture d’opera», spiega il musicologo Alessandro De Bei. Per contrasto, il secondo tema è più delicato, pur presentando gli stessi elementi costitutivi del primo (note ribattute, fraseggi che si rincorrono), a dimostrazione dell’abilità di Mozart nel variare il materiale musicale.











L’ingresso del solista avviene sul primo tema, seguito, come vuole la regola, da una 'transizione' e dal secondo tema. È interessante osservare il tipo di scrittura che Mozart adotta per gli episodi solistici, molto aderente alle esigenze tecniche e alle caratteristiche timbriche del flauto. Lo Sviluppo rielabora elementi cadenzanti o di raccordo che si sono ascoltati negli interventi orchestrali dell’Esposizione: domina la tecnica della 'progressione', cioè la ripetizione dello stesso disegno melodico su gradi diversi della scala.
In fondo, ciò che il Concerto per oboe K 314 trasmette e comunica è la 'giocondità di spirito' delle trame mozartiane. Una giocondità, come ha scritto il musicologo Bernhard Paumgartner, «che inconsapevolmente si oppone alle contrarietà della vita», quindi anche alla sofferenza e al disagio. Da questa impronta musicale emana quel senso di ironia, autoironia e umorismo che giustamente è stato interpretato come un luminoso atto liberatorio. La corte di Salisburgo non poteva che stargli stretta, perché soffocava l’immensità del suo genio, dal quale sono nate sempre musiche capaci di esaltare la vita, mai la morte. Lo stesso Requiem mozartiano è portatore di una musica gioiosa (in questo senso molto diversa dalla Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, più cupa e disperata) che guarda alla prospettiva del 'dopo' con la speranza della luce, più che con la disperazione delle tenebre.
Ecco, Mozart era così: tutto meno che misantropo. La sua musica è contagiosamente lenitiva perché racconta che il compositore amava le tavolate allegre, le risate degli amici, la compagnia delle donne. Da autentico salisburghese sapeva apprezzare la buona cucina, un bicchiere di vino generoso, il calore di una tazza di punch. 
Lasciarsi andare alle dolcezze dell’arte, passando sopra le contingenze della vita sembra il manifesto della vita in cui si ha lo scopo di liberare la potenza benefica della musica, come una linfa che ci attraversa per ridare slancio vitale al proprio essere.







L'anno successivo, Mozart ha scritto una versione di questo concerto anche per flautoe orchestra; seguono gli mp3 e i video.






                                      Partitura concerto di Mozart k313 per flauto e orchestra





                                                           flauto e orchestra k313

giovedì 2 giugno 2016

Come si costruisce un'ancia?

COME SI COSTRUISCE UN'ANCIA? 





Le ance per oboe possono essere costruite partendo da un semilavorato abbastanza commerciale: 


















È molto importante che le listelle vengano completamente immerse in acqua a temperatura ambiente per almeno un’ora. Le listelle sono pronte per le successive lavorazioni quando restano spontaneamente sul fondo e non tendono più a galleggiare. A parte si prepara il cannello di ottone. Questo deve avere le seguenti misure: apertura inferiore: circolare con Φ = 4 mm apertura superiore: ellittica con Φ maggiore = 3.8 mm e Φ minore = 3.5 mm lunghezza = 25 mm


rammelli per oboe





I tubetti in ottone per oboe costruiti dalla ditta Chiarugi sono adatti a questa lavorazione e vanno tagliati rispettando le seguenti misure: il tubetto originale è lungo 47 mm. Il cannello di ottone va inserito su un’apposita spina la cui conicità e forma siano uguali a quelle interne del cannello appena preparato. La spina non dovrebbe sporgere dalla parte superiore del cannello bensì risultare a filo. La spina è molto utile per la corretta lavorazione dell’ancia fin dalle sue prime fasi perché ci permette di manipolarla agevolmente pur essendo questa un oggetto di piccole dimensioni.









 accessori per oboe
accessori per oboe



Quando la listella di canna è pronta per la lavorazione (cioè dopo ilbagno di un'ora in acqua), si traccia un segno a matita in corrispondenza della mezzaria. Si inserisce ora la canna piegata su un apposito attrezzo detto “forma” che servirà per dare all’ancia la giusta sagoma o profilo.
Lavorando con un taglierino a lama intercambiabile, tagliare i bordi laterali della canna seguendo il profilo della forma dalla punta verso la base.Prima di iniziare la legatura è consigliabile assottigliare ulteriormente la parte inferiore delle due metà per agevolare la loro curvatura attorno alla base del cannello.





Per le operazioni che seguiranno è necessario un cordonetto resistente alla trazione (perché la legatura deve essere molto serrata); il nylon è il materiale più indicato. 
In queste condizioni la lunghezza totale dell’ancia (misurata dalla base del cannello alla punta della canna) è di circa 44.5-45 mm











Prima di procedere con lo scarto è necessario separare le due lamelle che sono ancora unite nel punto dove erano state piegate all’inizio del procedimento. Per fare questo si appoggia la punta dell’ancia su un ceppo in ebano e si esercita una decisa pressione con il coltello da scarto a una distanza di 45 mm dal fondo.






Inizia così la lavorazione, ovvero lo scarto dell’ancia. 

Questa operazione ha lo scopo di fornire un profilo di spessore alle due lamelle vibranti che consenta loro di produrre il suono desiderato. In pratica si tratta di ridurre lo spessore della canna in determinate aree della sua superficie. Per eseguire questo lavoro si usa il coltello da scarto ben affilato. Il coltello da scarto deve avere la lama a sezione triangolare e il manico molto leggero.

Lo scarto si esegue appoggiando la lama del coltello alla zona dove lo spessore va ridotto e strisciandola verso la punta dell’ancia. Con il pollice della mano che impugna l’insieme spina-ancia si fornisce alla lama il fulcro dove questa appoggia. Il pollice non deve esercitare pressione sulla lama ma deve solo fungere da appoggio. Il lavoro lo deve effettuare la mano che manovra la lama del coltello durante le operazioni di scarto e la canna deve essere sempre bagnata.                                                          
Suddividendo la superficie delle lamelle in 4 parti si può assegnare a ciascuna di esse un significato particolare nella lavorazione di “scarto”: la parte centrale costituisce il corpo dell’ancia e ha lo scopo di opporre una
sufficiente rigidità meccanica nei confronti della pressione alla quale viene sottoposta l’ancia. Quest’area deve essere lavorata il meno possibile. Le parti laterali influenzano maggiormente le tonalità basse e medie, quindi assottigliare questa parte migliorerà il comportamento alle medie e basse frequenze. La parte in corrispondenza della punta ha influenza sulle frequenze più alte. Questa area può essere lavorata per migliorare la risposta dell’ancia alle alte frequenze, oppure può essere tagliata per alzare la frequenza delle note più alte.